Tra i tanti aspetti geniali de Il racconto dell’Ancella (The Handmaid’s Tale), straordinaria serie tv ispirata all’omonimo libro di Margaret Atwood, vi è lo sviluppo – ben oltre il libro – dei personaggi e del loro background. La storia di Moira, la migliore amica della protagonista June, è particolarmente significativa quando si riflette sui temi dell’autodeterminazione del corpo e della maternità.
A prima vista, Il racconto dell’Ancella potrebbe essere considerato un grido di protesta contro la pratica della gestazione per altri – o come la definscono i detrattori, “l'utero in affitto”: le ancelle del resto sono donne private della libertà personale, impiegate presso coppie non fertili, e obbligate nei loro giorni di ovulazione a subire rapporti sessuali con i comandanti di quelle case, stupri di fatto – meticolosamente coreografati, e in cui la moglie sterile è presente – per essere ingravidate.
Una volta incinta, l’ancella resta a vivere con la famiglia fino al momento del parto, altro momento vissuto “pubblicamente” e punteggiato da riti che coinvolgono sia le altre ancelle sia le altre mogli. Dopo il parto, il bambino appartiene automaticamente alla famiglia del Comandante; usata per ancora qualche tempo ai fini dell’allattamento, l’ancella viene poi allontanata e assegnata a un’altra famiglia, con l’aspettativa che possa generare altri figli per altri Comandanti; non è previsto che abbia ulteriori contatti con il figlio che ha generato. Una prospettiva orribile, che calpesta le donne e le istiga una contro l’altra (ancelle contro mogli), che nega l’esistenza di un legame emozionale delle donne incinte con i figli che portano in grembo, e il concetto stesso di istinto materno e di attaccamento.
Una prospettiva non dissimile da quella di alcune “fabbriche di bambini” che, specie nel terzo mondo, operano ai nostri giorni nel business della gestazione per altri impiegando donne in condizione di povertà che mettono a disposizione i loro corpi in cambio di compensi che, per i Paesi dove vivono, sono molto allettanti. Anche in questi casi vi sono protocolli rigidi che sottraggono immediatamente i bambini al momento del parto.
Quindi tutto netto, buoni da una parte e cattivi dall’altra? Non è così semplice nel mondo reale: vi sono infatti Paesi economicamente e giuridicamente avanzati – Canada e Stati Uniti, per citarne due – in cui la gestazione per altri è perfettamente legale, ed è inscritta in un preciso quadro normativo che cerca di tutelare tutti gli attori coinvolti, a cominciare dalle donne portatrici, per assicurarsi che non vi sia sfruttamento. E non è così semplice nemmeno nella narrazione de Il Racconto dell’Ancella, che sceglie nella seconda stagione di offrire al personaggio di Moira, interpretato da Samira Wiley, un passato che permette appunto al tema della procreazione per altri di essere considerato nella sua complessità. Moira infatti, si scopre nella settima puntata della seconda stagione, ha avuto un bambino all’interno di un contratto di gestazione per altri, negli Stati Uniti, prima che ci fosse il colpo di stato di Gilead. In completa legalità ha dunque fatto la procedura di inseminazione, ha portato avanti la gravidanza, ha partorito e poi ha consegnato il bambino nelle mani della coppia sterile che l’aveva ingaggiata allo scopo.
Moira ha scelto questa gestazione per altri in maniera completamente libera. Ha ricevuto un compenso per questa prestazione, ma partiva comunque da una situazione di benessere economico e di buon livello di istruzione, e dunque non è stata spinta dalla necessità o dall’ignoranza. Non ha rimpianti per quel bambino che non ha mai sentito come suo, ma che ha portato in sé per i nove mesi della gravidanza senza coercizione, senza violenza. Non sente rimorso per quello che ha fatto, non rimpiange il bambino perduto, è stata a suo agio con la sua scelta in ogni momento del percorso, compreso quello della separazione.
Interessante che il personaggio principale della serie, June, che di Moira è la migliore amica, non sia completamente d’accordo con la scelta. Esprime il suo punto di vista senza però mai permettersi di giudicare Moira, riconoscendo che il valore supremo è la scelta individuale, e che ciascuna donna – ciascuna persona – deve poter fare le sue scelte liberamente rispetto a cosa fare o non fare col proprio corpo.
Il fatto che in passato Moira abbia avuto un’esperienza volontaria di gestazione per altri rende ancor più evidente la situazione di violenza in cui si trova quando, una volta imprigionata a Gilead, viene trasformata in un’ancella, e questa gestazione per altri (che per Moira comunque, a differenza di June, non si verifica) perde ogni contorno di consensualità e di libera scelta. Permettendo al pubblico di riflettere sulle sfaccettature di questo tema e sulla profonda differenza che può esserci tra una donna privata della libertà, e/o in condizioni economiche o psicologiche di svantaggio, e una donna libera e consapevole nel vivere una situazione apparentemente simile.
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