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Eleonora Voltolina

Sostegno alla natalità, i talloni d'Achille delle politiche conservatrici

Aggiornamento: 25 apr

Ha fatto il giro del mondo la notizia che il nuovo governo appena insediato in Italia ha creato un “ministero della Natalità”. Tecnicamente ha cambiato il nome di un ministero già esistente, quello delle Pari opportunità e famiglia, in “Ministero della famiglia, della natalità e delle pari opportunità” – ma la notizia rimane: la natalità entra ufficialmente ad essere materiale da ministero.


Non risultano esistere altrove nel mondo altri ministeri o dipartimenti di Stato esplicitamente dedicati alla natalità: eppure il tema è caldo pressoché ovunque, perché soprattutto nei Paesi industrializzati si assiste da anni a un vertiginoso calo demografico. La politica si sta accorgendo, con ritardo, che ciò è un problema – sopratutto a livello di tenuta dei conti pubblici, perché se le persone in pensione superano in proporzione quelle in età lavorativa l’equilibrio tra entrate e uscite inevitabilmente salta.


Il nuovo governo italiano, presieduto per la prima volta da una leader di un partito di destra, Giorgia Meloni, ha scelto di appropriarsi del tema – a partire dal nome di un ministero. Senza arrivare a tanto, i partiti conservatori a tutte le latitudini stanno da tempo dimostrando attenzione verso la questione della natalità, lanciando allarmi e proponendo ricette.


Il problema è che le ricette conservatrici di contrasto al calo delle nascite sono quasi sempre legate a doppio filo a una visione antiquata del ruolo della donna, in cui la maternità è considerata “naturale”, così come naturali sono i ruoli di genere nella famiglia; e anche se ormai è opinione condivisa che le donne possano stare nel mercato del lavoro, c’è sempre l’idea che il lavoro più importante sia quello di madre, e che altri impegni e priorità debbano cedere il passo alla cura della famiglia.


Inoltre molto spesso la natalità è vista come un derby noi-loro, con l’idea che gli immigrati invadano i Paesi occidentali, “inquinando” le società di arrivo e “colonizzandole” con i loro figli. Dunque fare più figli diventa anche patriottico, per contrastare la minaccia demografica legata all’aumento della popolazione immigrata.


Il leitmotiv della “sacralità della vita” e della “famiglia naturale” come tassello fondamentale della società, con connessa condanna morale verso chi sceglie di non fare figli – o sceglie di farne da single – e verso le famiglie omosessuali fanno il resto.


Non a caso in Francia Marine Le Pen, leader di estrema destra che ha sfiorato la vittoria alle ultime elezioni presidenziali, nel programma del suo partito Rassemblement National avanza diverse proposte di sostegno alla natalità, sempre distinguendo i figli dei francesi dai figli degli immigrati. Il cosiddetto “natalismo”, dottrina politica che propugna e incentiva l'incremento della natalità, è in effetti un progetto etnico-nazionalista tipico dei partiti di estrema destra.


Fermo restando che chi governa ha il diritto di portare avanti le politiche che meglio crede, se ha i numeri in Parlamento per farle approvare, ci sono due limiti che non dovrebbero mai essere valicati quando si elaborano politiche per la natalità, di qualunque colore esse siano.


Il primo è confondere il sostegno alla natalità con la negazione della libertà rispetto alle scelte riproduttive personali. Questo avviene quando si limitano l’educazione sessuale, l’informazione sulla pianificazione familiare, l’accesso alla contraccezione. Tutte politiche portate avanti di recente negli Stati Uniti, per esempio, dall’ex presidente repubblicano Donald Trump che durante il suo mandato ha tagliato drasticamente i fondi a programmi di prevenzione delle gravidanze delle adolescenti nelle scuole e sopratutto a “Planned Parenthood”, grande associazione non-profit che da oltre un secolo opera con personale sanitario, educatori e attivisti per la pianificazione familiare.


Un altro modo di negare la libertà di scelta è quello di rendere difficile o impossibile l’accesso all’aborto, fino al punto di farlo (ri)diventare illegale. Anche in questo caso vale la pena fare l’esempio di Trump, che nei suoi soli quattro anni alla Casa Bianca ha avuto la fortuna di poter nominare ben tre nuovi giudici della Corte Suprema (sui nove totali), scegliendoli tutti accuratamente tra gli antiabortisti. Risultato, proprio nel 2022 la Corte Suprema americana ha ribaltato cinquant’anni di giurisprudenza rinnegando il diritto federale all’interruzione volontaria di gravidanza e aprendo dunque la strada, negli Stati più conservatori, all’emanazione di nuove leggi che vietano e criminalizzano questa scelta.


Ma rendere difficile l’accesso alla contraccezione e all’aborto non fa aumentare la natalità. Semmai fa aumentare la mortalità delle donne: perché l’aborto in sé non si è mai potuto e mai si potrà vietare. Si può vietare solo l’aborto legale: e se si intraprende questa strada si riaprono le porte alle mammane, ai ferri da calza, alle pozioni di prezzemolo, e alle tante conseguenze tragiche degli aborti clandestini.


Detto in maniera chiara: non nascono più bambini se le persone non hanno accesso a contraccettivi o se non possono interrompere gravidanze non desiderate. Forse nasce qualche bambino in più nell’immediato, ma certamente molti meno ne nascono in futuro, perché essere obbligati a portare avanti una gravidanza non voluta porta spesso a rinunciare a gravidanze successive (come anche spiegato in poche luminose righe autobiografiche dalla grande scrittrice americana Ursula K. Le Guin).


Il secondo errore che non dovrebbe essere fatto quando si elaborano politiche per la natalità è quello di cadere nella retorica che bisogna “aiutare le madri”. Come se solo loro facessero i figli.


Aiutarle solo finanziariamente, ovviamente: con un qualche bonus, sussidio, assegno. Non: più servizi. Non: più diritti. Non: più parità di genere.


“Aiutare le madri” dando loro contentini economici è quanto di più lontano possa esistere da una buona politica per la natalità. Che è invece una politica che riconosce che i figli si fanno in due, almeno nella maggior parte dei casi, e che quindi promuove una genitorialità condivisa e agisce concretamente per appianare la triste dicotomia tra “motherhood penalty” e “fatherhood bonus”, quella fattispecie studiata dai ricercatori per cui le donne che diventano madri sono penalizzate dal mercato del lavoro (“perché si distraggono e diventano inaffidabili!”) mentre gli uomini che diventano padri sono avvantaggiati (“perché dover provvedere alla prole li fa essere più seri e responsabili!”).


Ogni misura per la natalità che coinvolga solo le donne, magari premiandole perché restino a casa a occuparsi dei bambini, senza invece mettere come priorità il progressivo raggiungimento di un equilibrio paritario nella responsabilità della cura dei figli, è completamente fuori fuoco.


Non è un caso che nel Sud Italia – dove esiste ancora spesso un tessuto culturale tradizionale, con ruoli di genere codificati, e famiglie d’origine molto presenti nella vita delle nuove generazioni – il tasso molto basso di occupazione femminile non corrisponda affatto a un tasso più alto di fecondità. Insomma le donne dell’Italia meridionale che restano a casa fanno in media meno figli di quelle settentrionali che lavorano. Segno evidente che incentivare il modello “angelo del focolare” non funziona.


Il rischio della retorica conservatrice sul fare figli – i “figli per la patria”, i figli “perché altrimenti saremo invasi dagli immigrati”, i figli “perché la famiglia tradizionale è sacra” – non è solo che questi messaggi populisti e propagandistici esaltino un ideale di società e di famiglia ormai sorpassato, vanificando decenni di lotte per la parità di genere e di lavoro per la demolizione degli stereotipi di genere.


L’altro rischio, paradossale eppure più che concreto, è che queste politiche semplicemente… non funzionino. E facciano perdere tempo prezioso. Come spiega nel suo TEDx il demografo italiano Alessandro Rosina, se si lascia che il tasso di fecondità di un dato Paese «rimanga persistentemente su livelli molto bassi si entra in una trappola che poi forza sempre di più la curva demografica a diventare negativa». Cioè: se si sbagliano le politiche oggi, domani ci saranno meno figli; il che renderà ancor più difficile per loro dopodomani, una volta divenuti adulti, invertire la tendenza e tornare a fare più figli.


Con buona pace dei ministeri della Natalità. Le foto sono tratte da Flickr in modalità Creative Commons: - foto "Goodnight babies" tratta dall'account di Dave Hergolz - foto di Marine Le Pen tratta dall'account dell'European Parliament - foto di Donald Trump tratta dall'account di Gage Skidmore

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Questo articolo, come tutto il sito di The Why Wait Agenda, è stato prodotto dall'associazione Journalism for social change, un'organizzazione che crede in un giornalismo impegnato e partecipe, che possa dare tramite l'informazione un punto di vista laico e progressista sui temi della fertilità e della genitorialità e far evolvere la nostra società rispetto a queste tematiche. L'associazione, senza scopo di lucro, si sostiene anche grazie ai doni dei lettori: donando una somma, anche piccola, permetterete a questo progetto di crescere e di raggiungere i suoi obiettivi.

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