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Eleonora Voltolina

Viaggio alla scoperta delle ragioni per cui non facciamo i figli che vorremmo fare

Aggiornamento: 19 feb

Parte una collaborazione tra il quotidiano italiano Domani e The Why Wait Agenda per realizzare una inchiesta a puntate sul tema della scelta di fare figli, sempre meno frequente, sempre più spesso ritardata, specialmente in Italia. La prima puntata scritta dalla fondatrice di The Why Wait Agenda, Eleonora Voltolina è stata pubblicata su Domani lunedì 1 maggio 2023. Qui di seguito, le prime righe dell'articolo.

Facciamo sempre meno figli. In tutta Europa, specie in Italia. Allarme culle vuote. Allarme equilibri pensionistici. Allarme demografia. “E vabbè, fare bambini è una scelta personale!”, dirà qualcuno: se non ne facciamo, vorrà dire che non ne vogliamo. Che la gente ha altre priorità, altri desideri: mica si può imporre alle persone di voler diventare genitori. Verissimo. La libertà di scelta è fondamentale. Ma i dati raccontano che in quasi tutti i Paesi avanzati le persone desiderano fare due figli, in media. E però poi ne fanno un numero molto inferiore. In Italia, a fronte di quei due desiderati, il numero effettivo di figli per donna è ormai sceso a 1,25.

 Si chiama “Fertility gap”. E’ il divario tra figli desiderati e figli avuti, ed è una potente rappresentazione statistica di quanto la lettura “Se non ne facciamo, vorrà dire che non ne vogliamo” sia fuori fuoco. A volte sì, certo: esistono i “child-free” per scelta. Ma molte persone invece non fanno figli perché non possono, non riescono, perché trovano troppi ostacoli: e restano “child-less”. Nel primo caso c’è una realizzazione personale che passa per la scelta libera e consapevole di non fare figli; nell’altro un senso di frustrazione, e mancanza, e sofferenza nel non aver potuto realizzare il proprio progetto di famiglia. Una persona su sei, al mondo, soffre di infertilità. L’ha ribadito di recente l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), spiegando in un report che «comprendere l’ampiezza del fenomeno dell’infertilità è essenziale per poter sviluppare interventi appropriati, monitorare l’accesso a trattamenti per la fertilità di qualità, e per limitare i fattori di rischio e le conseguenze dell’infertilità».

 Non si può parlare dunque di calo delle nascite senza prendere in considerazione tutte le persone che vorrebbero figli ma che non riescono a farne per motivi legati alla sfera medica. Ciascuno di noi può guardarsi intorno e contare. Il 17 per cento della popolazione in età, come si dice, “fertile”. Può essere un amico, un collega. Un familiare. “Ma no, dai, lo saprei, me l’avrebbe detto!”. No. Lo stigma è ancora potente, e tante persone non ne parlano apertamente, tengono nascosti gli esami, le terapie, gli eventuali tentativi di procreazione assistita. Gli aborti spontanei. Il dolore fisico, quello psicologico.

 “Ma no, dai, quelli hanno già un figlio, mica possono essere sterili…”. Ancora, no. C’è l’infertilità primaria, quando non si riesce a concepire mai: il limite è tracciato, nella definizione scientifica, a 12 mesi di rapporti sessuali completi non protetti senza ottenere una gravidanza. Ma c’è anche quella secondaria, ancor più invisibile: famiglie con un figlio unico non per scelta, ma perché qualcosa ha impedito e impedisce nuove gravidanze... L'intero articolo in italiano è disponibile su Domani a questo link → qui l'articolo integrale in inglese



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Questo articolo, come tutto il sito di The Why Wait Agenda, è stato prodotto dall'associazione Journalism for social change, un'organizzazione che crede in un giornalismo impegnato e partecipe, che possa dare tramite l'informazione un punto di vista laico e progressista sui temi della fertilità e della genitorialità e far evolvere la nostra società rispetto a queste tematiche. L'associazione, senza scopo di lucro, si sostiene anche grazie ai doni dei lettori: donando una somma, anche piccola, permetterete a questo progetto di crescere e di raggiungere i suoi obiettivi.

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